Lettera a una professoressa
Nel maggio del 1967 viene pubblicata Lettera a una professoressa, scritta dalla Scuola di Barbiana (se la cercate in libreria, infatti, non la troverete mai chiedendo dell’autore “Lorenzo Milaniâ€). Si tratta di un’opera collettiva, il risultato di un anno di attività della scuola. Un testo scritto dagli stessi studenti, in cooperazione, redatto attraverso un metodo di scrittura di gruppo, la “scrittura collettiva†appunto, che li vedeva tutti protagonisti nella stesura, ma che li chiamava anche alla collaborazione corresponsabile affinché l’opera mantenesse la coerenza e la forza espressiva che non avrebbe certo avuto se fosse stata opera di uno solo di loro.
Ma perché gli studenti di Barbiana hanno voluto lanciare questo messaggio, questa lettera che è una forte denuncia, un libro che ha scatenato subito polemiche e suscitato anche simpatie?
La denuncia
“questo libro non è scritto per gli insegnanti, ma per i genitori. È un invito a organizzarsiâ€
Gli studenti di Barbiana denunciano la scuola italiana, una scuola, a detta loro, classista che boccia i poveri, espressione di una classe intellettuale autoreferenziale, al servizio solo di se stessa. “Un ospedale che cura i sani e respinge i malatiâ€, come scrivono gli stessi ragazzi nella lettera.
“La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde.
La vostra “scuola dell’obbligo†ne perde per strada 462.000 l’anno. A questo punto gli unici incompetenti di scuola siete voi che li perdete e non tornate a cercarli. Non noi che li troviamo nei campi e nelle fabbriche e li conosciamo da vicino.
I problemi della scuola li vede la mamma di Gianni, lei che non sa leggere. Li capisce chi ha in cuore un ragazzo bocciato e ha la pazienza di metter gli occhi sulle statistiche.
Allora le cifre si mettono a gridare contro di voi. Dicono che di Gianni ce n’è milioni e che voi siete o stupidi o cattiviâ€
Una scuola, dunque, che aveva dimenticato l’art. 3 della Costituzione che recita “Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di razza, lingua, condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umanaâ€
“Ma voi avete più in onore la grammatica che la Costituzioneâ€, aggiungono rassegnati i ragazzi, prendendosela con quei tanti insegnanti che bocciano troppo facilmente, soprattutto i figli dei poveri, che poi sono sempre i più ignoranti, dimenticando che questo svantaggio deriva da una disparità di condizioni di partenza: il livello economico=culturale delle famiglie di provenienze.
Questi insegnanti bocciano certo a ragione, ma non giustamente. “Perché non c’è nulla che sia ingiusto quanto far le parti uguali tra disugualiâ€
Gli studenti di Barbiana indirizzano quindi la loro denuncia, come fosse una lettera, a “una professoressaâ€, referente di tutta la categoria.
L’istruzione è un diritto di tutti, è “la chiave che apre tutti gli usciâ€. Ogni studente bocciato è un probabile abbandono, “una creatura che va a lavorare prima d’essere ugualeâ€
Bocciare è come sparare in un cespuglio, una soluzione troppo facile.
“L’abbiamo visto anche noi che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di levarseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile.
E voi ve la sentite di fare questa parte del mondo?â€
Contro la scuola che perde: la relazione educativa
Ma, bocciature a parte, cosa dovrebbe fare l’istituzione scuola per assolvere pienamente al suo dovere, per essere davvero uno strumento di parificazione, di riscatto delle differenze, secondo quanto assegnatole dalla Costituzione?
“Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati.
Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi. (…)
Anche i signori hanno i loro ragazzi difficili. Ma li mandano avanti.
Solo i figlioli degli altri qualche volta paiono cretini. I nostri no. Standogli accanto ci si accorge che non sono. E neppure svogliati. O per lo meno sentiamo che sarà un momento, che gli passerà , che ci dev’essere un rimedio.
Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono eguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediareâ€
Il segreto della scuola di Barbiana è la centralità del ragazzo. Il “più lento†è messo al centro della classe e non si va avanti se lui non ha capito. È una scuola fondata sul rapporto educativo insegnante-alunno. Ma anche sul legame tra compagni. A Barbiana sono tutti maestri: i più grandi fanno scuola ai più piccoli. Non ci si rassegna per nessuno, nessuno non vale la pena. Ognuno va seguito, per ognuno si fa l’impossibile.
Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi ad ogni costo tutti i ragazzi in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farli funzionare.
Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio, multa per ogni ragazzo che non ne impara una.
Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni. Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa certo eguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno, trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la notte col pensiero su di lui a cercare un modo nuovo di far scuola, tagliato su misura sua. Andreste a cercarlo a casa se non torna.
Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna d’essere chiamata scuolaâ€
I ragazzi di Barbiana propongono un programma “perché è il sogno dell’eguaglianza non resti un sognoâ€: “1. non bocciare. 2. A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo. 3. agli svogliati dargli uno scopoâ€
IL FINE GRANDE
Ma perché la scuola è così importante? E qual è lo “scopo†da dare agli svogliati?
L’istruzione per Don Milani, già ai tempi di Calenzano, è sempre stato strumento per la parificazione, per l’uguaglianza delle classi sociali più svantaggiate.
A Barbiana si studiavano tanto le lingue. Tutte, ma soprattutto l’italiano. Perché la chiave è sapersi esprimere. Solo la parola è liberante. Solo l’istruzione educa al senso critico, ad una testa propria, che fa a meno delle mode, delle schiavitù intellettuali, dalle idee che non sono fatte proprie.
A Barbiana si leggeva il giornale. Tutte le mattine. Era materia di studio. “A un certo punto leggere la prima pagina d’un giornale (quella che prima saltavamo sempre) diventò troppo meglio che leggere quelle dello sport (che prima erano state la nostra unica lettura)â€, ricorda uno degli allievi, “era la lingua insomma, quella di cui ci aveva parlato tante volte don Lorenzo, la famosa chiave per tutti gli usci, come diceva lui.â€
A Barbiana si studiava storia, geografia, astronomia, matematica (quella vera, quella pratica!), si faceva “educazione civicaâ€, si leggeva la Costituzione, si studiava la politica, si imparava la tecnica, si seguivano le lezioni di meccanici, falegnami, artigiani che venivano a spiegare come funzionavano e come costruire le loro macchine.
A Barbiana si faceva lezione 365 giorni all’anno, senza ricreazione, da mattina a sera. Si imparava a nuotare (i ragazzi costruirono da soli una piscina. Loro, ragazzi di montagna, che non avevano mai visto il mare!), si imparava a sciare. Non per sport, non per svago, ma perché nella vita poteva sempre servire. Come le lingue. Come la storia. Come la matematica. A Barbiana si insegnava a vivere, i ragazzi imparavano ad essere Uomini, cittadini. Cittadini sovrani.
“Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé.
Ma ci restava da fare ancora una scoperta: anche amare il sapere può essere egoismo.
Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per es. dedicarci da grandi all’insegnamento, alla politica, al sindacato, all’apostolato o simili. […]Ma il priore dice che non potremo far nulla per il prossimo, in nessun campo, finché non sapremo comunicare.
Perciò qui le lingue sono, come numero di ore, la materia principale.[…] Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerreâ€
“In questo secolo come vuole amare se non con la politica o col sindacato o con la scuola? Siamo sovrani. Non è più tempo delle elemosine, ma delle scelte.
Studiare quindi non per la cultura in sé, per un sapere che diventi prestigio, elevazione personale. È questo il fine a cui la scuola deve educare i suoi giovani. “A me hanno insegnato che questa è la più brutta tentazione. Il sapere serve solo per darloâ€
Il sogno dei ragazzi di Barbiana era una scuola che serve. Che serva a qualcosa e che serva alle persone. Una scuola che serva. Che serva LE persone e che serva il Paese.
Un’istruzione che si fa servizio, un sapere che diventa vita. E quindi la scuola diventa bussola, capace di orientare, di accompagnare, di dare senso.
“Cercasi un fine.
Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Cioè che vada bene per credenti e atei.
Io lo conosco. Il priore me l’ha imposto fin da quando avevo 11 anni e ne ringrazio Dio. Ho risparmiato tanto tempo. Ho saputo minuto per minuto perché studiavo.
Il fine giusto è dedicarsi al prossimoâ€
Il sapere serve solo per darlo…